Salario minimo? Regalo agli industriali, mina il sindacato
E’ un’operazione che lascia molto perplessi. Si tratta dell’introduzione del salario minimo che, c’è da precisare, è ben distante dal reddito minimo garantito. In altre parole, con quest’ultimo non ha niente a che vedere. Si tratta di stabilire una soglia, così come indicato dal Jobs Act, per la retribuzione minima che, a livello europeo, è fissata in 8,5 euro orarie mentre in Italia si parla di 7 euro l’ora.
Ma perché, come sosteniamo e come riporta anche un’interessante analisi di Giuliano Cazzola su Le Cronache del garantista, sarebbe un’operazione che favorisce solo Confidustria? E perché, in più, andrebbe a danneggiare i sindacati, i lavoratori, e metterebbe in crisi la contrattazione nazionale per mettere agevolare solo quella di prossimità?
Innanzitutto in Italia, anche se non si chiama così, il salario minimo esiste già. Ebbene sì: lo sancisce l’articolo 36 della Costituzione che specifica come il lavoratore ha diritto
…a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa.
Questo articolo della Carta è stato il faro seguito dai giudici che proprio per la sua esistenza, quando vengono chiamati a definire il trattamento, fanno costantemente riferimento alla retribuzione di base, i cosiddetti minimi tabellari, previsti dai contratti collettivi nazionali. Qui contratti sottoscritti dalle organizzazioni sindacali che, se venisse introdotto un salario minimo, non sarebbero più la bussola e il metro di misura per stabilire quanto spetta ai lavoratori. Ci si atterrebbe, in altre parole, a una cifra minima uguale per tutti in barba alle difficoltà, magari, avute in alcuni settori per ottenere un briciolo in più.
Ecco perché, oggi, come riassume benissimo Cazzola, “con l’interpertazione giurisprudenziale dell’articolo 36 si è giunti al riconoscimento di un salario minimo garantito”. Che senso avrebbe allora introdurlo finendo per abbassare il livello di tutela assicurato, ad oggi, dalla contrattazione collettiva e dalla giurisprudenza? Forse è proprio quello ipotizzato dalle colonne del quotidiano di approfondimento diretto da Sansonetti: mettere in crisi la contrattazione nazionale e, perché no, dare una mano a Confindustria. Alla faccia dei lavoratori.
(SaFra)